Fino a pochi anni fa, l’anatocismo bancario era una prassi diffusa presso la maggior parte degli istituti di credito. Chi ha richiesto un prestito o un finanziamento sa sicuramente di cosa stiamo parlando in quanto l’anatocismo influenzava direttamente gli interessi sul capitale. Cerchiamo di capire meglio quando era applicato e in quali casi è ancora previsto dalla legge.
Anatocismo: di cosa si tratta?
Il termine anatoclismo deriva dal greco anatokismós, composto di ανα- «sopra, di nuovo» e τοκισμός «usura».
L’anatocismo è un processo che permette di calcolare gli interessi maturati su altri interessi, scaduti o non pagati, in un dato periodo di tempo. Questi interessi vengono sommati all’importo dovuto e producono a loro volta interessi: si parla dunque di interesse composto.
Rientrano in questa categoria anche il calcolo dell’interesse passivo di un mutuo o il calcolo dell’interesse attivo su un deposito.
Ad esempio, volendo calcolare gli interessi su un capitale di 2.00 euro, con un tasso dell1% su base annuale, sappiamo che il cliente, il 31 dicembre, dovrà alla banca 2.020 euro, dunque 2.000 euro + 20 euro di interessi. All’inizio dell’anno successivo i 20 euro di interessi vanno ad aggiungersi al capitale. Se le condizioni non mutano, alla fine dell’anno successivo il debito del cliente produrrà interessi per 20 euro e 20 centesimi: la somma di 20 centesimi che si è aggiunta rappresenta proprio l’interesse maturato sui 20 euro di interessi aggiunti al capitale alla fine dell’anno precedente. Il debito complessivo del cliente salirà così a 2.020,20 euro.
Cosa stabilisce il diritto bancario
Bisogna sapere che le nuove regole bancarie vietano qualsiasi forma di produzione di interessi sugli interessi dovuti dal cliente alla banca.
Restano invece invariati i regolamenti che riguardano il regime degli interessi di mora, ossia quelli previsti se il cliente non paga quanto dovuto alla scadenza prevista dal contratto (ad esempio in caso di insolvenza della rata di un mutuo o di un altro finanziamento).
Per il calcolo e il pagamento di questi interessi si continua a fare riferimento a quanto stabilito dal contratto e dalle norme del codice civile.
Gli interessi passivi maturati non possono quindi produrre altri interessi. Tutti gli interessi devono essere calcolati con lo stessa periodicità, ovvero un anno per gli interessi passivi o il periodo previsto da contratto per quelli attivi, che può essere inferiore. Gli interessi passivi calcolati al 31 dicembre non sono dovuti a questa data, ma al 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati.
A livello contrattuale, le banche devono evidenziare separatamente interessi e capitale. In questo modo il cliente ha sempre chiare la somma dovuta a titolo di interessi, che non può produrre ulteriori interessi, e la somma dovuta a titolo di restituzione del capitale, ossia il debito principale, che produce interessi.
Cosa stabilisce il codice civile
Già il diritto romano prevedeva e disciplinava la pratica dell’anatocismo, al fine di tutelare il debitore dall’aumentare incontrollato del capitale dovuto. Essendo stata in tempi successivi tale pratica liberalizzata, il nostro codice civile l’ha ammessa a determinate condizioni.
Nonostante l’anatocismo sia una pratica ben nota dagli albori del prestito ad interesse, l’univa legge a regolamentarlo risale al 1942. Nell’ordinamento italiano l’anatocismo è espressamente disciplinato dall’art. 1283 c.c.
Secondo questa norma, gli interessi scaduti, in assenza di usi contrari, possono produrre a loro volta interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi.
In linea di principio, il codice civile vieta un regime di capitalizzazione composta degli interessi, ovvero il pagamento degli interessi su interessi di periodi precedenti.
Tuttavia, le banche hanno continuato ad applicare la capitalizzazione trimestrale degli interessi, supportata da varie pronunce giurisprudenziali. Per questo motivo, nel 1999 è intervenuta la Corte di Cassazione affermando la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale, sostanzialmente argomentando nel senso della inesistenza di un uso normativo idoneo a derogare all’art. 1283 c.c.
Negli anni a venire la Cassazione ha promulgato un’altra serie di sentenza estendendo i principi enunciati anche ai contratti di mutuo. Infine, con sentenza n. 21095/2004 (Cass. Civ., SS.UU., 4 novembre 2004, n. 21095), la suprema Corte ha confermato in modo netto il mutamento del 1999, così consolidando il nuovo trend giurisprudenziale.
Anatocismo e usura
Anche se sia l’anatocismo che l’usura sono illeciti finalizzati ad ottenere un profitto sui capitali, c’è una differenza sostanziale.
L’anatocismo è infatti previsto a determinate condizioni dal codice civile, con l’applicazione di interessi minori su una base più larga pari al debito residuo e alle quote interessi già pagate. L’usura è invece vietata dal codice penale in ogni sua forma, ed è severamente punita in tribunale dal momento che prevede l’applicazione sul capitale di interessi esorbitanti.